ATALANTA CAMPIONE EUROPA LEAGUE 2024- Ci siamo presi qualche ora. Perché dopo la bellezza, l'emozione e la gioia della serata di Dublino, serviva un po' di tempo per fermarsi. Per realizzare. E per tracciare un percorso, per tirare le fila di un'avventura che ha paralizzato Bergamo e provincia dalla gioia. L'Atalanta è campione nell'Europa League 2024. Con una prestazione fotografia della mentalità della squadra: mai doma, splendida da vedere e capace di osare.
"Cantami o Dea" è l'introduzione di uno dei poemi epici più importanti della storia dell'uomo, l'Iliade di Omero. No, non stiamo per raccontarvi l'ira funesta del Divino Achille, ma il piede fatato dello Scatenato Ademola. Mattatore della serata di Dublino con una tripletta da sogno.
La Dea, arrivata nettamente sfavorita contro la squadra degli invincibili del Leverkusen, mette alla prova il nome guadagnato dai ragazzi di Xabi Alonso. E lo fa alla grande, annichilendoli con un gioco alto, un pressing asfissiante ma bilanciato e una precisione nei passaggi e nella finalizzazione da grande.
Non casuale. No, perché quella impostata da Mister Gasperini è l'ennesima partita-capolavoro di un tecnico che non rinuncia a offendere neanche nelle partite che sembrerebbero chiedere una maggior precauzione. E che lo fa con una minuzia di dettagli e attenzione da sorprendere chiunque. Chiedere al Liverpool, al Marsiglia o proprio al Leverkusen.
1-2-3. Lookman. Tre gol diversi, eppure simili per cattiveria agonistica, precisione e ruolo della squadra. Il primo nasce da un corner che sembrava perso e che è stato ravvivato con una splendida giocata di Kolasinac per Zappacosta. Il resto lo sapete. Il secondo è frutto del pressing della Dea (10 uomini nella metà campo del Leverkusen con i tedeschi in possesso palla), che costringe all'errore la punta avversaria e recupera palla proprio con Lookman. Poi tunnel, destro a giro. Tripudio. Baciato dagli déi avrebbero detto i greci: un nume ha preso a cuore Ademola e la Dea e ha portato a un gol epico. Il terzo è ancora permesso dal gioco di squadra, dal recupero collettivo e dalla verticalizzazione rapida, marchio di fabbrica del Gasp. Palla a Lookman, dribbling secco e sinistro (sì, teoricamente non è il suo piede) all'incrocio opposto.
Cantami o Dea.
"Stasera non sono più bravo di oggi pomeriggio, solo perché ho vinto". Così il Mister, sorridente, dopo aver sollevato il primo trofeo in carriera. Che tanto assillava giornalisti e addetti ai lavori, ma mai lui. "Ognuno ha un obiettivo, che non per forza porta a un trofeo". Wow.
Poche parole per smontare la cultura della vittoria a tutti i costi. Perché, più importante di vincere (che pure fa piacere, certo), è sapere di aver fatto il meglio, di aver lasciato una traccia. E tu, mister, l'hai lasciata eccome, così come l'avresti lasciata anche se ieri avessi perso.
La traccia di Gasperini sono le urla e la furia in panchina quando, sul 2-0 contro un avversario annichilito ma comunque insidioso, richiama la propria squadra. Praticamente perfetta, eppure troppo bassa per qualche minuto di troppo. Sta vincendo 2-0 la Dea e delizia l'Europa. Lui la corregge, la plasma, la eleva alla storia. I suoi giocatori lo sanno e lo seguono. Fino alla fine, fino alla gloria, fino a una festa che a Bergamo è destinata a diventare leggenda.
Un po' come gli aedi che cantavano l'Iliade noi canteremo a nipoti e pronipoti di una squadra che non ha temuto gli invincibili. Che ha messo alla prova il loro nome. Che ha vinto. E che, soprattutto, ci ha fatto innamorare di nuovo del gioco più bello del mondo.